martedì 1 marzo 2011

Corpo del reato


Non mi piace riprendere argomenti su cui già altri blog hanno scritto, ma stavolta devo dire che ne sento l'esigenza.
L'articolo è del Corriere, che quando ci si mette sa essere un campione di misoginia (e pure con aria inconsapevole). Riassunto: Treviso, terra di cattolicissimi e civilissimi padani. Una donna è ricoverata, è incinta, il piccolo in sofferenza fetale. I medici consigliano un cesareo. La donna decide di non sottoporsi all'operazione.
Fosse questo possiamo dire che la notizia non sussiste.

I medici cercano di convincere la donna, convincono il marito ma la donna permane non d'accordo con l'operazione.
Il primario si rivolge alla direzione sanitaria.
Il primario si rivolge alla magistratura.
Il primario fa intervenire la polizia.
Il marito firma per l'intervento grazie all'intervento della polizia.
La donna ha 21 anni.


La donna è del Burkina Faso.


L'articolista del Corriere termina con un riferimento alla situazione del neonato, che pare se la caverà.
L'articolista del Corriere non sottolinea in nessun modo la violenza che è stata fatta a questa donna nel momento in cui non voleva sottoporsi a una operazione. Non ha accennato al fatto che la volontà di questa donna sia stata calpestata per il fatto essere straniera. Non ha accennato al fatto che il corpo di questa donna sia stato violato per affermare il dovere di essere madre.

Agghiaccianti le dichiarazioni del primario Giuseppe Dal Pozzo:

Nel suo Paese il parto è possibile solo per via naturale anche a costo di pregiudicare la salute o la vita stessa del nascituro. Il marito della donna era d’accordo con noi, ma lei era irremovibile anche perché temeva che il cesareo le avrebbe pregiudicato la possibilità di avere figli in futuro. [...] Ho ritenuto che la presenza degli agenti fosse necessaria a tranquillizzare un po’ gli animi e così è stato. Anche grazie alla loro mediazione il marito ha firmato il consenso e intorno alle 15.30 il piccolo è nato».

Una donna impedita nella sua cacità decisionale da un primario, da un marito e da agenti di polizia. Una donna di cui è violata la privacy e la cui esperienza viene descritta come positiva.
Una brutta storia di misoginia, razzismo e pessimo giornalismo. E di strisciante fascismo.

3 commenti:

eva ha detto...

aggiornamento:
ho faticato non poco per trovare qualcosa di "istituzionale" a riguardo.
L'ho trovato all'interno delle linee guida ministeriali pubblicate a gennaio 2010 e in vigore fino al gennaio 2014 all'indirizzo: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1330_allegato.pdf

in particolare: In caso di taglio cesareo, sia programmato sia d’emergenza, il medico deve sempre richiedere alla donna il
consenso informato all’intervento. In considerazione del quadro clinico, è tenuto a fornire informazioni basate
su prove scientifiche, con modalità di comunicazione rispettose della donna, del suo parere, della sua
dignità, della sua privacy e della sua cultura. Il linguaggio utilizzato nella comunicazione sia verbale sia
scritta deve essere sempre appropriato e comprensibile per l’interlocutrice.

e soprattutto:

Una donna capace di intendere e di volere che rifiuti la proposta di un taglio cesareo programmato, anche
dopo un colloquio informativo approfondito in cui l’intervento sia stato presentato come vantaggioso per la
salute sua e/o del bambino, ha diritto di ricevere un secondo parere. Il rifiuto dell’intervento deve essere una
delle possibili opzioni per la gestante.
In caso di indicazione a un taglio cesareo d’emergenza, una donna in possesso della capacità di intendere
e di volere ha la facoltà di rifiutarlo.

Non so però quanto le linee guida possano essere legalmente vincolanti per un primario e quindi se possano giustificare eventuali azioni legali o richiesta di provvedimenti disciplinari a carico del primario.

Kitty ha detto...

Mi fa soprattutto piacere che si rimarchi la misoginia dei giornalisti su questioni simili.
Si parla troppo di immagini pubblicitarie e troppo poco delle parole vomitate quotidianamente sui giornali.

eva ha detto...

Ti dirò, cara Kitti, che son quasi del tutto convinta che la giornalista abbia scritto l'articolo per nulla consapevole di stare scrivendo qualcosa di misogino.
Insomma non malafede (almeno in questo caso) ma mancanza di sensibilità. E penso che a livello culturale sia un segnale anche peggiore.