domenica 24 gennaio 2010

Già che c'ero...

Visto che ho fatto la fatica di tradurre un intero articolo da El Paìs ve lo posto. Tratta di maschilismo e di come "nella cattolicissima Spagna" sembra abbiano le idee più chiare in proposito. La traduzione l'ho fatta per le compagne di Femminismo a Sud (con cui ogni tanto litigo pure) , e lo troverete anche lì. In caso di strafalcioni correggetemi.



Tribuna: Amparo Rubiales

Il Neomaschilismo

Non avremmo mai pensato, quando la nostra democrazia scelse di fondarsi, tra tutti i principi, su quelli di libertà e di uguaglianza, che per noi sarebbe stato più difficile realizzare il secondo, e che la paura della libertà di cui scrisse Eric Frömm non era nulla paragonata alla paura dell’uguaglianza, più generalizzata e più radicata.

Coloro che difendevano “i valori” della società patriarcale, per quanto lo facessero nei modi più diversi, venivano complessivamente definiti “maschilisti”. Questi iniziarono ad essere giudicati in modo negativo, e coloro che così si descrivevano apparentemente iniziarono a diminuire. Ma da quando la parità ha iniziato a concretizzarsi maggiormente, costoro hanno iniziato a formulare nuovi argomenti che, apparentemente, non mettono in discussione il principio di uguaglianza, ma ne questionano l’applicazione, con idee che, in alcune occasioni, possono sembrare addirittura “ragionevoli”. Sembrano diverse da quelle di sempre nonostante, in fondo, mirino ad ottenere lo stesso risultato: la sottomissione della donna.

Miguel Lorente, nel libro intitolato Los nuevos hombres nuevos. Los miedos de siempre en tiempo de igualdad, sostiene che il genere maschile ha ordito nuove trame per difendere la propria posizione di potere, basate su presunti problemi che l’inserimento della donna nella vita attiva avrebbe portato, in modo particolare, nell’ambito delle relazioni famigliari. A questa nuova strategia Lorente dà il nome di postmaschilismo, in quanto nata nel contesto della postmodernità, nonché per aver mantenuto, dalle sue prime manifestazioni, una certa distanza dalle posizioni classiche del maschilismo o del patriarcato.

Ciò nonostante, e per quanto ritenga assolutamente corretta ogni sua argomentazione, credo sia più corretto denominare questa nuova forma di pensiero come neomaschilista, poiché si sta sempre più trasformando in una nuova ideologia che si va espandendo e che si caratterizza, in particolare, per temere l’uguaglianza. È un nuovo modo di sostenere le posizioni maschiliste di sempre, ma attraverso nuovi discorsi e con nuovi contenuti. Per fare un esempio, in maniera analoga, nessuno oggi si dichiarerebbe apertamente fascista, ma è evidente che per alcuni vi è oggi un nuovo modo di esserlo, e costoro vengono definiti neofascisti.

I neomaschilisti equiparano il femminismo al maschilismo, cercando così di confondere qualcosa di estremamente chiaro. Infatti maschilismo e femminismo ricercano finalità opposte: il primo la predominanza del maschio e il secondo l’uguaglianza tra uomini e donne. La differenza è così evidente che non varrebbe la pena spiegarla, se solo il maschilismo non tentasse di confondere le acque allo scopo di mantenere meglio le proprie nuove posizioni, dirette, come sempre, a mettere in discussione i diritti delle donne, la loro autonomia e l’indipendenza che hanno raggiunto. I neomaschilisti, così dicono, non mettono in discussione la parità, ma le conseguenze della sua applicazione; sono contro la violenza di genere ma affermano ripetutamente, ad esempio, che vi sarebbero troppi casi in cui tali denunce si rivelano false, senza aggiungere che, se così fosse, ci si troverebbe davanti ad un reato che, come qualsiasi altro, andrebbe denunciato.

Vi è qualche giudice le cui affermazioni davvero fanno paura – non voglio fare nomi perché so che la persona in questione ne trarrebbe soddisfazione -, ma vi sono, disgraziatamente, troppi teorici del neomaschilismo – e tra questi anche qualche donna – che ogni giorno salgono alla ribalta e che è nostro dovere smascherare, così come in passato abbiamo fatto con i maschilisti.

Considerano l’uguaglianza come una minaccia, non per loro ma nei confronti delle relazioni sociali e inaspriscono la relazione fra i sessi al livello più estremo: la violenza di genere. Il femminismo è da sempre ridicolizzato e oggi torna ad esserlo con forza. Così i neomaschilisti parlano di vendetta di genere, di femminismo risentito (frustrato), dogmatico o radicale, senz’altra intenzione che di poter di nuovo “demonizzarlo”.

Sono manifestazioni di questa “paura dell’uguaglianza” che i neomaschilisti cercano di diffondere in diversi modi: ad esempio “santificano” l’allattamento materno, colpevolizzando le madri che non possono praticarlo; attribuiscono alle madri la responsabilità dei problemi dei minori, con la teoria del “nido vuoto” (potremmo dire “della madre assente” o di carenze educative); e dell’aborto neanche a parlarne, sembra si faccia per capriccio. Nessuno di loro afferma apertamente di essere contro la parità, ma affermano che, al contrario, siamo noi donne quelle che stanno costruendo una società con gravi problemi di convivenza, questo come conseguenza diretta del nostro bisogno di essere libere e uguali. Non riescono a capire che senza uguaglianza la libertà non può esistere, che quella o è reale o non è uguaglianza e che la democrazia le esige entrambe.

Noi donne da sempre abbiamo dovuto conquistare cose a cui gli uomini avevano diritto dalla nascita; ci relegarono alla realtà del privato e siamo riuscite ad ottenere – con gli sforzi di anni – parti di spazio pubblico, ma sempre a costo della nostra vita privata. Gli uomini, a cui era destinata come propria la realtà pubblica, l’hanno mantenuta, e la loro integrazione nella realtà del privato si sta realizzando in misura molto minore. Da qui le resistenze alla parità che permangono – nonostante i molti passi avanti che abbiamo compiuto – soprattutto nei paesi sviluppati, visto che in molti altri tuttavia si continua con il burka, il maggior simbolo delle discriminazioni che le donne sono costrette a soffrire.

Dobbiamo farla finita con tutti i burka del mondo, sapendo affrontare con la stessa decisione le vecchie questioni e queste nuove – e più sottili – del neomaschilismo.

Amparo Rubiales es profesora de Universidad, abogada y consejera de Estado.

Amparo Rubiales è professoressa universitaria, avvocato e consigliere di stato.

sabato 23 gennaio 2010

Non bastano i tagli




Evidentemente non bastavano i tagli introdotti in ossequio all'economia, sulla scuola si stanno addensando nuvole molto preoccupanti. Riporto tre notizie di questi giorni.

La prima è la riduzione e in alcuni casi la scomparsa dello studio della geografia. cosa che non può che aumentare in maniera esponenziale il tasso di ignoranza. Perché studiare la geografia non vuol dire impararsi a memoria gli affluenti del Po. e non significa neppure studiare una serie di cose noiosissime che si possono ritrovare agevolmente in qualsiasi atlante. No, la geografia è una interpretazione dei fatti attuali, la geografia arriva dove la storia non riesce ad arrivere. Non puoi spiegare i flussi migratori senza geografia, non puoi capire la situazione israelo-palestinese senza una cartina in mano. Non puoi capire ciò che succede nel mondo se non sai tener conto degli indicatori demografici, della situazione religiosa, della ripartizione delle risorse e delle attività economiche prevalenti e questa è la geografia. E togliere questa disciplina vuol dire privare i giovani di una importante chiave di lettura per il mondo.

La seconda notizia riguarda in particolare Caserta. E i deliri che provoca il razzismo e l'insicurezza propagandata ad arte che finiscono per ripercuotersi sulla società e sulla scuola. Leonardo, sul blog e sulla stessa Unità ha già spiegato come il tetto del 30% sia una trovata più propagandistica che altro, ma in questo caso vediamo come possa essere strumentalizzata.
La prefettura di Caserta ha infatti dato ordine al locale Ufficio Scolastico Provinciale (il vecchio provveditorato agli studi) affinché ogni scuola raccolga e invii i dati sulla presenza di alunni stranieri e sulla dispersione scolastica.

La Prefettura vuole le schede compilate che riguardano gli studenti che sono a scuola dal 2007-2008 fino ad oggi. E ben classificate sulla provenienza tra stranieri di recente immigrazione (ultimi 3 anni); straniero di seconda generazione (nati in Italia da genitori stranieri); straniero non accompagnato; alunno comunitario (dell'Unione Europea) e infine l'elenco dei nomadi. Nonchè dati sulle difficoltà riscontrate di ogni alunno, con la specifica sulla conoscenza della lingua italiana, l'accettazione tra le culture diverse e la partecipazione degli stessi agli interventi didattici di integrazione, accoglienza e recupero.
Perché tutto ciò debba interessare la prefettura resta un mistero. Perché debba interessare una prefettura in piena terra di camorra ancor di più...

L'ultima sconsolante notizia riguarda il ministro Sacconi e la decisione di rendere possibile sostituire l'ultimo anno dell'obbligo scolastico (a 15 anni) con una esperienza di apprendistato. Norma che ci riporta quasi al dopoguerra.
Consideriamo però che la dispersione scolastica è un fenomeno che affligge maggiormente le famiglie con minor reddito e di minor livello culturale (una famiglia in cui i genitori hanno un alto titolo di studio e/o sufficienti risorse generalmente non accetta che un figlio smetta di studiare dopole medie). E le cose stavano così anche quando le medie le frequentavo io.

Dobbiamo inoltre ricordare che ormai il raggiungimento del diploma (anche di un istituto professionale, non pretendo che tutti vogliano diventare ingegneri) rappresenta una discriminante fondamentale per entrare nel mondo del lavoro. Un diploma serve per fare l'operaio o l'elettricista o il parrucchiere. Il diploma serve per un qualsiasi concorso pubblico. Senza diploma la prospettiva è di fare lavori pericolosi, usuranti, di manovalanza.

Consideriamo allora tra i ragazzi i più poveri, quelli con maggiori difficoltà all'interno della famiglia, che sono poi quelli con maggiori difficoltà a livello scolastico. E consideriamo tra questi quelli con più problemi, che provengono da un paese straniero, che hanno genitori con basso reddito e bassa istruzione. Ragazzi per cui un anno in più diventa fondamentale anche per imparare la lingua e potersi integrare nel nostro paese. E che rischiano di essere spinti a lavorare dalle necessità della famiglia.

Insomma, mi preoccupo per i miei ragazzi.

Stiamo costruendo le nostre banlieue.


venerdì 8 gennaio 2010

Grammatica

Ieri mi sono regalata un nuovo libro. Il romanzo L'eleganza del riccio di Muriel Barbery, un bestseller da cui è stato tratto un film ora nelle sale. Del resto da quando ho scoperto (grazie e ancora grazie al Vanni) Daniel Pennac sto rivalutando ampliamente i francesi in quanto depositari di (per me) insospettabile ironia.

Veniamo al dunque: non è un libro facile. Tra le altre cose parla di filosofia (cosa che ormai ho già perdonato a Kundera e alla sua leggerezza dell'essere, e non se ne parli più), di arte (ma non gli perdono di preferire le nature morte fiamminghe alla pittura italiana del '400), di cinema. Volendo fargli le pulci dopo una prima lettura, personalmente avrei dato alla giovane Paloma un linguaggio più semplice, più adatto alla sua età e che avrebbe sottolineato di più l'impostazione a due voci. Ma il libro è bello, mi ha fatto sorridere e commuovere e mi sto apprestando ad una seconda lettura per entrare bene nel dettaglio.

Ma questo libro merita anche una citazione (e già di per sé è un titolo di merito...). Vi ho trovato una stupenda definizione di Grammatica che rivenderò il prima possibile ai miei studenti/cavie.

Io credo che la grammatica sia una via d'accesso alla bellezza. Quando parliamo, quando leggiamo o quando scriviamo, ci rendiamo conto se abbiamo scritto o stiamo leggendo una bella frase. Siamo capaci di riconoscereuna bella espressione o uno stile elegante. Ma quando si fa grammatica, si accede a un'altra dimensione della bellezza della lingua. Fare grammatica serve a sezionarla, guardare come è fatta, vederla nuda, in un certo senso. Ed è una cosa meravigliosa, perché pensiamo: "Ma guarda un po' che roba, guarda un po' come è fatta bene!", "Quanto è solida, ingegnosa, acuta!"

Muriel Barbery, L'eleganza del riccio, Roma, Edizioni e/o, 2007, p. 152